L’ APPRENDIMENTO E I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO

In tutto il mondo moltissime famiglie sono coinvolte, prima o dopo, e in vario modo, nelle problematiche scolastiche dei propri figli. Sull’altro versante, gli insegnanti si lamentano con grande frequenza delle difficoltà di apprendimento manifestate dai loro allievi. Non c’è da sorprendersi se un insegnante, con 25 alunni in classe, ne indica un gruppetto di 7-8 come incerto o assoluta mente deficitario negli apprendimenti.
Molte sono le ragioni per cui uno studente può fallire a scuola e molti sono i profili sottostanti. I profili fondamentali (stimandone l’incidenza in prima approssimazione), che potrebbero sottostare a una difficoltà scolastica, sono i seguenti:

  • Condizione di handicap (mentale, sensoriale visivo, sensoriale uditivo, multiplo) (1,2%);
  • Disturbo specifico di apprendimento (4%);
  • Disturbi specifici collegati: disturbo di attenzione e/o iperattività (DDAI) e altre problematiche evolutive severe (autismo ad alto funzionamento, disturbi del comportamento, problematiche emotive-relazionali e motivazionali gravi, ecc.) (4%);
  • Svantaggio socioculturale grave (condizioni di deprivazione precoce, appartenenza a gruppi svantaggiati e/o stranieri);
  • Difficoltà scolastiche in altre aree scolastiche rilevanti, quali la lingua straniera, aspetti avanzati dell’apprendimento matematico, le abilità trasversali di studio, ecc.

    L’apprendimento è la capacità di modificare i propri comportamenti, o un determinato stato del sistema cognitivo, in funzione dell’esperienza cui il soggetto è stato esposto.
    I processi di apprendimento scolastico sono sollecitati da un contesto di istruzione, cioè da stimoli ed azioni che sono compiute con la deliberata intenzione di modificare il livello di competenza e di abilità del bambino.
    In tutte le difficoltà scolastiche, l’incremento di efficienza atteso non si manifesta, nonostante la ripetuta esposizione agli stimoli.
    In particolare, nei Disturbi specifici dell’apprendimento, l’esperienza non viene accumulata, l’allenamento non sortisce effetti, la prestazione non diviene standard, ma si manifesta in modo incostante ed occasionale, richiedendo uno sforzo attentivo volontario.
    Prima di definire chiaramente cosa sono i Disturbi specifici dell’apprendimento, è importante sottolineare come non sempre siano chiari i confini tra una categoria diagnostica e l’altra (es. funzionamento cognitivo limite); due problematiche possono essere compresenti, senza la possibilità di stabilire in modo inequivocabile che l’una è la conseguenza dell’altra (es. disturbo di attenzione e disturbo specifico di apprendimento); procedure diagnostiche e strategie di intervento possono essere simili indipendentemente dal fatto che le eziologie siano differenti (es. disturbi della comprensione e handicap uditivo).
    L’ICD-10 (Classificazione Internazionale delle malattie, OMS, 1992) e il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, APA, 1995) presentano una chiara e concorde definizione dei D.S.A.: “I Disturbi dell’apprendimento vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo, o espressione scritta, risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione, e al livello di intelligenza. I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo, o di scrittura (DSM-IV, 1995). Sono disturbi nei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Essi non sono semplicemente una conseguenza di una mancanza di opportunità di apprendere e non sono dovuti ad una malattia cerebrale acquisita. Piuttosto si ritiene che i disturbi derivino da anomalie nell’elaborazione cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica. Come per la maggior parte degli altri disturbi dello sviluppo, queste condizioni sono leggermente più frequenti nei maschi (ICD-10, OMS, 1992)”.
    Per quanto concerne il contesto italiano, dal gennaio 2007 sono disponibili le Raccomandazioni per la pratica clinica sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), elaborate con il metodo della Consensus Conference dai rappresentanti delle principali organizzazioni dei professionisti che si occupano di questi disturbi (psicologi, logopedisti, neuropsichiatri infantili, pediatri, ecc.). Nelle Raccomandazioni si ribadisce che la principale caratteristica di definizione di questa “categoria nosografica” è quella della “specificità”, con riferimento al fatto che il disturbo interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo, ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Quindi, il principale criterio necessario per stabilire la diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento DSA, è quello della “discrepanza” tra abilità nel dominio specifico interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e l’intelligenza generale (adeguata per l’età cronologica) con le seguenti implicazioni diagnostiche: la necessità di usare test standardizzati, sia per misurare l’intelligenza generale, che l’abilità specifica (lettura, scrittura, sistema dei numeri e del calcolo); l’esigenza di escludere la presenza di altre condizioni che potrebbero influenzare i risultati di questi test, quali menomazioni sensoriali e neurobiologiche gravi, disturbi significativi della sfera emotiva, situazioni ambientali di svantaggio socioculturale che possono interferire con un adeguata istruzione.
    La Consensus Conference ha identificato alcuni importanti criteri: l’importanza di applicare il criterio della “discrepanza” (parametri quantitativi specifici), così come ha evidenziato il carattere “evolutivo” di questi disturbi (abilità mai pienamente acquisite); la diversa espressività del disturbo nelle varie fasi evolutive dell’abilità in questione; la quasi costante associazione ad altri disturbi; il carattere neurobiologico delle anomalie processuali che caratterizzano i DSA; il fatto che il disturbo specifico deve comportare un impatto significativo e negativo per l’adattamento scolastico e/o per le attività della vita quotidiana. In relazione alla diagnosi, le Raccomandazioni specificano chiaramente di non fare diagnosi prima di due anni di regolare scolarizzazione per quanto riguarda dislessia e disortografia e di tre anni per quella di discalculia. Ciò non toglie l’utilità di screening preventivi in prima elementare (anche ultimo anno della scuola materna), e l’importanza di pianificare, dopo la valutazione diagnostica globale, adeguati trattamenti abilitativi e riabilitativi.
    A livello epidemiologico, anche se molti si sbilanciano sulle percentuali di disturbi dell’apprendimento presenti in Italia, con valori che vanno dall’1,5 al 5%, fino a che non ci sarà una concordanza generalizzata sulla definizione dei criteri di inclusione facendo riferimento a strumenti comuni di indagine, queste percentuali rischiano di rimanere delle opinioni.
    Certo è che i DSA rivestono un ruolo cardine, da non sottovalutare assolutamente, tra le varie problematiche evolutive, anche per il corollario dei vari disturbi della sfera affettiva-emotivo-relazionale spesso ad essi associati.
    In questi ultimi anni si sono fatti numerosi progressi nella ricerca, identificazione, diagnosi e trattamento dei DSA, fino ad arrivare alla legge dell’8 ottobre 2010, che non soltanto ha ufficializzato il “riconoscimento e la definizione di dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia”, ma ha anche sancito le seguenti finalità legislative: “garantire agli alunni con DSA il diritto all’istruzione; favorire il loro successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità; ridurre i disagi relazionali ed emozionali; adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti; preparare gli insegnanti a sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA; favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi; incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e di formazione; assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale”….”Gli studenti con DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari”.
    Per la promozione del Benessere bio-psico-sociale di ogni individuo, è estremamente importante intervenire nell’ambito della prevenzione primaria e secondaria, fornire ai docenti un’adeguata formazione per riconoscere precocemente e far diagnosticare per tempo le varie tipologie di disturbi dell’apprendimento, favorendo anche eventualmente incontri integrati, ma differenziati, tra docenti e genitori. Contemporaneamente si ritiene costruttivo, una volta individuati i soggetti a rischio e correttamente diagnosticati, proporre una didattica con degli accorgimenti mirati, reindirizzando in maniera equilibrata le aspettative nei loro confronti e rendendo l’apprendimento più autonomo e accattivante attraverso l’utilizzo, ove necessario, di software informatici, della LIM, o anche di giochi creativi da fare in gruppo.
    Ogni alunno deve essere accompagnato nel suo percorso didattico ed evolutivo, sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. Le problematiche affettivo-emotivo-relazionali, la bassa autostima, sono disagi frequenti nei bambini con D.S.A e su di essi bisogna lavorare accuratamente per impedire che questa forma di diversità possa andare a compromettere lo sviluppo di una personalità sana, serena ed equilibrata.